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“Sapere aude”. Così Orazio scrisse al suo amico poeta Massimo Lollio raccomandandogli di avere il “coraggio di essere saggio”, indicandogli di dedicarsi agli studi e alle occupazioni oneste. Settecento anni dopo, Kant recuperò tale espressione, rendendola il motto dei liberi pensatori nel corso dell’Illuminismo, di coloro i quali sostennero che il pensiero necessitasse di liberarsi dai dogmi e dai valori tradizionali. Nella rivisitazione del noto filosofo esplicita fu l’esortazione ad avere il coraggio di servirsi della propria intelligenza per raggiungere un’autonomia di pensiero che, nella sua massima espressione, egli definì libertà.
Mi sono affezionata a questo motto fin dalla prima lettura del suo significato e della sua storia nel corso dei secoli. Con una certa libertà di pensiero e interpretazione, e senza aver in alcun modo la presunzione di essere nel giusto, ho deciso però di attribuirgli una valenza del tutto nuova e ho rilevato come tale espressione possa essere spunto di riflessione su alcuni elementi inerenti la psicoterapia e dei quali oggi ho desiderio di scrivere.
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Il sapere, che qui intendo come essere a conoscenza nel senso più profondo del termine, penso debba rappresentare uno degli obiettivi della psicoterapia. Il paziente che richiede aiuto, prima ancora di poter trovare delle soluzioni al proprio malessere, si muove in un percorso, naturalmente caratterizzato da differenti elementi, uno dei quali è rappresentato dall’introspettività, che lo porterà a una conoscenza di sé alla quale probabilmente non ha mai avuto accesso nella propria vita. Questo elemento in talune circostanze per chi si avvicina per la prima volta alla psicoterapia può essere fonte di stupore ma anche di paura. “Cosa scoprirò di me che non so?”
Si tratta di una paura del tutto comprensibile, eppure nella pratica clinica ho rilevato come i dubbi e le sofferenze del paziente raccontino molto della sua storia, di quello che di fatto lui già sa. Lui sa attraverso il malessere che prova, ma spesso si tratta di un sapere che non ha avuto ancora modo di venire in contatto con la consapevolezza. Un sapere che necessita di senso, un senso nuovo, un senso che può essere trovato in relazione con l’altro –lo psicoterapeuta- che accoglie le parole e i pensieri del paziente e lo accompagna nel suo percorso. E allora “sapere aude”, il motto di quelle persone coraggiose che hanno la forza – e il desiderio – di acquisire maggior consapevolezza di sè, e che per questo decidono di intraprendere un percorso di psicoterapia.
“Sapere aude” in questo mio primo articolo è anche un invito che faccio a tutti coloro che desiderano leggere i contenuti del mio sito. Si tratta di un prodotto al quale mi sono avvicinata con cautela, diverse volte mi sono interrogata su quale potesse essere l’obiettivo e l’uso che avrei desiderato farne. “Ciò che non si conosce in genere fa più paura” – mi son detta. E questa è stata per lungo tempo la storia della psicologia, che in passato si è poco aperta alla possibilità di comunicare con il mondo esterno, alimentando pregiudizi e falsi miti (a tal proposito se il lettore fosse interessato all’interno del mio sito può trovare una parte dedicata – FAQ – ). In un periodo storico in cui invece per questioni culturali e sociali la psicologia è invitata ad occuparsi sempre di più delle persone e in un numero crescente di contesti di vita, come professionista nutro la speranza che il sito possa essere uno strumento utile per chi già mi conosce come psicoterapeuta e per chi ha desiderio di farlo. O ancora per chi è semplicemente mosso dalla curiosità di leggere informazioni o notizie sulla psicoterapia e le sue applicazioni.
E allora: “sapere aude”, perché conoscere combatte la paura.
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Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi della Lombardia e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico relazionale specializzata presso la Scuola di Specializzazione “Il Ruolo Terapeutico” di Milano. Specialista in disturbi d’ansia, depressione, lutto, separazione e divorzi.