Nell’immaginario collettivo l’arrivo di un bambino è necessariamente e imprescindibilmente un lieto evento, cui siamo portati ad associare pensieri romantici e aspetti positivi. Sebbene è innegabile che si tratti di una notizia meravigliosa, si tratta altrettanto di un evento che necessariamente comporta profondi cambiamenti nell’equilibrio di una coppia. Per propensione, l’essere umano tende a mantenere l’omeostasi raggiunta e un nuovo arrivo in famiglia può rappresentare una trasformazione che necessita di un’attenzione in più, di una rielaborazione non sempre immediata e scontata per tutte le relazioni di coppia.
Credo che sia importante ricordare che mamme e papà possono vivere l’arrivo di un bambino con emotività, consapevolezze e tempi di elaborazione differenti e questo non è in alcun modo segnale di una coppia che non funziona.
Non è infrequente che incontri dei padri che, anche dopo anni, raccontano di come abbiano preso coscienza di tale cambiamento con la presenza fisica del proprio bambino, a parto avvenuto. Altri invece mi riferiscono di aver provato molta paura nel momento in cui hanno appreso la notizia ma di essersi poi sentiti molto competenti e vicini alla propria compagna. E ancora coppie che ricordano di aver passato mesi insonni per via dei pianti e delle coliche del loro bambino, o che riferiscono di aver vissuto delle difficoltà nel ritrovare uno spazio nel quale incontrarsi e riscoprirsi; mamme che, nonostante l’amore grande che li lega ai propri figli, raccontano di momenti critici in cui hanno anche pensato di aver sbagliato a mettersi in gioco in un progetto così grande.
Nonostante le differenze con cui ciascuno affronta questo nuovo ingresso, mi preme sottolineare quanto per ambedue i genitori l’arrivo di un bambino rappresenti un momento critico, una nuova fase del ciclo di vita della famiglia in cui i genitori si trovano a dover ristrutturare il proprio legame di coppia, costruire una nuova identità familiare, un “noi” che coinvolga anche il nuovo arrivato.
Cambiamenti che necessitano di essere affrontati con pazienza e tolleranza verso se stessi e il proprio partner, comprendendosi nelle difficoltà e accogliendosi nei timori, dandosi la possibilità di rendere un evento così unico realmente un evento di coppia e di condivisione profonda.
Ciò che non smette di colpirmi quando incontro i genitori è il senso di colpa, spesso associato ai racconti di normali dubbi e paure, e la vergogna, che si evince nei rossori e nei tremori della voce di chi mi parla.
Emozioni e sensazioni che sembrano accompagnare l’idea di una genitorialità che necessariamente deve essere sentita come un dono e mai come una fatica, un diventare genitori che nell’immaginario – e solo in questo – non può permettersi di raccontare di stanchezze, dolori, pianti, ma può solamente concedersi di condividere gioie e liete situazioni. La genitorialità, al contrario, è un percorso tortuoso, ricco di soddisfazioni ma anche di difficoltà, che ha avvio con la nascita del bambino ma che non si esaurisce mai, necessita di essere costantemente rinnovata e per farlo ha bisogno di due individui che, indipendentemente dal proprio legame di coppia, continuino a credere nella possibilità di essere genitori insieme.
Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi della Lombardia e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico relazionale specializzata presso la Scuola di Specializzazione “Il Ruolo Terapeutico” di Milano. Specialista in disturbi d’ansia, depressione, lutto, separazione e divorzi.