La sensibilità è un dono prezioso, necessita di essere custodita con cura e garantisce a chi la possiede di vivere con maggiore intensità e verità ciò che lo circonda.
Imparare a conoscerla e gestirla è un passo essenziale per poterne sfruttare le potenzialità e per evitare che quel che è realmente un regalo dal raro valore possa divenire invece uno spiacevole punto di debolezza in grado di trasformare una potenziale vita ricca e piena di emozioni in un’esistenza fragile e sofferente.
La sensibilità è “un’attitudine a ricevere impressioni attraverso i sensi”, ovvero quella caratteristica che ci permette di percepire la realtà circostante; in un’accezione strettamente relazionale, è quella peculiarità che ci consente di comprendere gli umori di chi ci circonda, mettersi in relazione con gli stati d’animo altrui, osservare i comportamenti ed effettuare le necessarie deduzioni. Credo che, insieme all’empatia, sia in assoluto la qualità che maggiormente ci guida e ci aiuta nelle relazioni.
È una sorta di filtro che ciascuno di noi utilizza per leggere il mondo circostante e per dargli un’attribuzione affettiva; per qualcuno questo filtro è di facile gestione, per altri, e in special modo per le persone ipersensibili o ad alta sensibilità, imparare a gestire e utilizzare questa caratteristica è una vera e propria sfida.
Possedere un’alta sensibilità significa essere in grado di cogliere, fin dalla tenera età, dettagli e significati che per la maggior parte delle persone sono poco evidenti. I bambini ipersensibili sono i cosiddetti bambini “bravi”: ad esempio, sono coloro che colgono il malessere di un loro compagno e si prestano a stargli accanto, quelli che le insegnanti scelgono per occuparsi di un altro alunno in difficoltà, trattengono impressioni e idee per paura di ferire chi li circonda, utilizzano strategie consolatorie se notano che il proprio genitore è afflitto, difficilmente si permettono di destare preoccupazioni o rabbie nell’altro; al contempo sono anche coloro che sono maggiormente esposti alla possibilità di essere feriti dalle parole altrui, sono suscettibili alla critiche e alle osservazioni, facilmente possono andare ad occupare il ruolo di vittima, sono alla continua ricerca di feedback positivi su loro stessi.
E da adulti come si presentano le persone ipersensibili?
Credo sia doveroso fare una distinzione tra i bambini che hanno avuto accoglienza e hanno trovato degli adulti in grado di imparare a guidarli nella gestione di questa caratteristica e coloro invece che, per svariate ragioni, non hanno avuto questa opportunità.
Per i secondi si tratta di una strada decisamente in salita, ma assolutamente percorribile: avere una buona sensibilità ma non riuscire a domarla comporta, con buona probabilità, che la persona, ad un certo punto della sua vita, si accorga di soffrire in alcune situazioni “più degli altri” e comprenda quanto questo dolore sia dipendente anche da questo “filtro” mal gestito e che “potrebbe stare meglio se solo imparasse ad accettarlo e a trasformarlo in vantaggio”; nasce così il desiderio di modificare questo modo di vivere e spesso queste riflessioni esitano in una richiesta psicoterapeutica.
Posso scegliere di essere ipersensibile?
È bene dire che l’ipersensibilità non è una scelta, a mio parere è una strutturazione legata a differenti fattori, sia biologici che relazionali/ambientali. E quindi possederla, così come scrivevo all’inizio, è proprio un dono, come lo sono altre caratteristiche che non possiamo decidere se avere o no. Possiamo negarla, ma, esattamente come accade ogni volta che decidiamo di negare qualcosa di noi stessi, questo non può che comportare sofferenza.
Imparare a utilizzare l’ipersensibilità come un vantaggio significa cominciare a conoscere come funziona e avere consapevolezza di possederla. Credo che uno dei crucci maggiori degli ipersensibili sia il pensiero che il resto del mondo sia in grado di vedere e sentire quello che vedono e sentono loro. Ma non può essere così e non deve nemmeno esserlo. Un altro punto di scontro riguarda il bisogno che gli ipersensibili hanno di avere ragione: sentendo e vedendo con maggiore intensità si aspettano che chi li circonda, se non in grado di fare altrettanto, perlomeno si adegui alla loro visione.
Penso che gli ipersensibili per imparare a gestire la propria sensibilità debbano partire da sé, dando avvio a una riflessione che permetta loro di rinunciare al bisogno di “avere ragione” o alla necessità di ricercare conferme dal mondo esterno; è quindi essenziale che apprendano la capacità di gestire le emozioni legate al loro sentire e che sviluppino un pensiero che li aiuti a imparare a fidarsi delle proprie percezioni, così uniche e preziose.
Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi della Lombardia e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico relazionale specializzata presso la Scuola di Specializzazione “Il Ruolo Terapeutico” di Milano. Specialista in disturbi d’ansia, depressione, lutto, separazione e divorzi.