La giornata della psicologia che si celebra annualmente nel mese di ottobre mi ha invitato a riflettere sul ruolo dello psicologo e sulla necessità di investire tempo affinché vengano rivisti alcuni pregiudizi che riguardano questa professione.
Desidero proporre a tal proposito il mio modo di intendere la difficoltà psicologica (che molti perpetuano a definire malattia mentale).
Si tratta di una difficoltà che mi piace definire raffreddore. Termini come malattia o patologia rimandano infatti a qualcosa di grave, di incurabile. Un raffreddore, invece, seppur necessita di attenzioni, difficilmente, a meno che non venga trascurato, evolve in qualcosa di più serio; lascia di sé il ricordo ma non necessariamente i segni.
Ecco di cosa mi occupo: di raffreddori dell’anima. Giornalmente incontro chi combatte e si batte per s
quel raffreddore; quotidianamente incontro persone che stanno attraversando un momento di sofferenza e che mi richiedono aiuto. Quelle stesse persone, che necessiterebbero in tale occasione della vicinanza dei loro cari, spesso mi raccontano della loro necessità di nascondere la richiesta d’aiuto.
Questo è un pensiero che mi preme molto condividere. Tutti noi nella vita ci siamo trovati a dover far fronte a delle difficoltà. Quando abbiamo un raffreddore chi ci ama ci sta accanto: le nostre madri ci hanno abituati a prepararci i nostri piatti preferiti, magari portarci a letto un tè caldo; i nostri compagni si occupano di noi con maggior attenzione e così facciamo noi con i nostri figli.
Con il raffreddore dell’anima però spesso non vale la stessa modalità.
La sofferenza spaventa, può lasciare incredule e impotenti le persone che ci circondano. Il raffreddore dell’anima non passa, come un raffreddore qualsiasi, con una semplice medicina e non può essere spiegato come un evento dalla sola valenza biologica; è dunque qualcosa di misterioso e di sconosciuto e, come tutto ciò che non conosciamo, fa paura, e ciò è comprensibile.
Sono convinta però che lo stereotipo, e il suo perpetuarsi all’interno del nostro contesto culturale, nel tempo si è costruito intorno al ruolo dello psicologo e dello psicoterapeuta, e che costringe a provare vergogna a chi sente di averne bisogno spesso è causa di ritardi nelle richieste di aiuto con conseguente aggravamento dello stato di malessere.
Ed ecco il mio sogno di psicoterapeuta: immaginare un futuro in cui sia possibile rivolgersi, così come facciamo con il medico per il raffreddore comune, a uno psicologo per il raffreddore dell’anima. Senza dover più provare vergogna e sentendosi un po’ meno soli.
Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi della Lombardia e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico relazionale specializzata presso la Scuola di Specializzazione “Il Ruolo Terapeutico” di Milano. Specialista in disturbi d’ansia, depressione, lutto, separazione e divorzi.