Sappiamo oramai come sia diffusa e profondamente sentita quella che sentiamo spesso definire emergenza e che riguarda l’avvento di Internet e le modifiche che ciò ha comportato nelle nostre vite (in merito a questo, qualora non lo abbiate già fatto, vi invito a leggere il mio articolo “Generazioni in rete”).
Nei miei ultimi interventi e proseguendo lo studio della materia, ho ideato una formula verbale che penso possa essere utile per i genitori nella gestione dell’uso della rete dei propri figli. Per renderla un po’ mia e perchè fosse evocativa, ho desiderato chiamarla “Le 3C”: C come CONOSCENZA, CONTROLLO e COMUNICAZIONE.
È importante – e nei miei interventi lo sottolineo sempre- che tra genitori e figli nel corso della crescita si instauri un rapporto di reciproca fiducia e comunicazione che renderà più agevole qualsiasi passaggio critico del ciclo di vita. Come esemplificazione vi invito a riflettere su quanto avviene in adolescenza, in quel momento di crescita in cui la conflittualità è elevata: generalmente i genitori mi riferiscono un brusco calo della comunicazione; sapere di aver attivato e generato un buon canale comunicativo sebbene non metta al riparo da questo – si spera- temporaneo cambiamento, sicuramente rappresenta per l’adulto e per il ragazzo un fattore protettivo. Detto più semplicemente, è probabile che il ragazzo in alcune fasi di vita diminuisca la quantità di informazioni condivise con il genitore, ma se saprà di poter contare su di lui, sarà in grado di riferirsi all’adulto per questioni importanti, ad esempio per un episodio di cyberbullismo o per un rischio corso in rete.
I nativi digitali, o cosiddetti tali, proprio perché maneggiano fin da piccoli lo strumento “rete” confondono gli adulti che finiscono per sentirsi in svantaggio, “sempre un po’ in ritardo”, nella conoscenza delle nuove tecnologie. È vero che i ragazzi hanno maggiore dimestichezza con le nuove tecnologie e sono al passo con i tempi, ma non sono altrettanto bravi nel riconoscimento dei rischi connessi. Quel che desidero consigliare all’adulto è di frasi accompagnare dai ragazzi, che hanno desiderio di sentirsi importanti, nella conoscenza degli strumenti tecnologici e delle relative applicazioni, fornendo, di contro, indicazioni su come è possibile utilizzare questi strumenti senza incorrere in rischi che possono avere conseguenze anche devastanti.
Il controllo: so che questa parola non piace, spesso genera la sensazione che attuarlo implichi una ingiusta limitazione della libertà e i ragazzi fanno leva su questa modalità di concepirlo evocando il concetto di privacy: non è infrequente che qualche adolescente che incontro mi riferisca di sentirsi spiato, invaso da un genitore che scegli di porre dei limiti e delle regole nell’uso del cellulare. E se sostituissimo al concetto di controllo la parola “supervisione”?
Per aiutarmi nella trasmissione di ciò che intendo dire, penso possa essere utile una metafora che generalmente utilizzo durante le formazioni e che parte da un semplice interrogativo che rivolgo ai genitori: come avete insegnato ai vostri figli ad attraversare la strada? Provo a dare io una risposta ma sono certa che non si differenzi sostanzialmente da quello che il lettore mi direbbe. Dapprima avete impedito a vostro figlio di attraversarla senza tenervi per mano; è arrivato poi il momento in cui quella mano non è stata più necessaria e quindi avete potuto lasciarla, sebbene abbiate continuato a camminargli accanto; è seguito poi un momento in cui vostro figlio vi ha richiesto di poter andare a scuola da solo e, dopo un’attenta valutazione, gli avete concesso di farlo ma lo avete -a sua insaputa- seguito a debita distanza; è giunto poi quel giorno in cui, osservando il suo comportamento, avete reputato che fosse sufficientemente grande per andare a scuola da solo, lo avete quindi salutato raccomandandogli di fare attenzione e vi siete fidati di lui.
Insegnare la rete come si insegna ad attraversare la strada. Quando mi viene richiesto “cosa fare” io fornisco questa risposta: un genitore conosce il proprio figlio meglio di chiunque altro; ne osserva limiti e competenze nel corso del tempo. Sa quando può lasciare la mano e sa anche quando invece è opportuno che non smetta di osservarlo, anche da lontano.
Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi della Lombardia e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico relazionale specializzata presso la Scuola di Specializzazione “Il Ruolo Terapeutico” di Milano. Specialista in disturbi d’ansia, depressione, lutto, separazione e divorzi.