L’infertilità riguarda un sempre maggior numero di coppie: si stima che ne soffrano il 20% e che questo dato sia in costante crescita.
Viene definita infertile una coppia che dopo un anno di rapporti regolari e non protetti non riesce a concepire; l’infertilità secondaria riguarda invece chi ha già avuto figli ma non riesce ad averne altri. È sterile una coppia affetta da una precisa patologia irreversibile o che resta non fertile anche dopo un iter diagnostico e terapeutico esauriente e svolto in un tempo ragionevole.
L’infertilità può essere spiegata come conseguenza di un problema dell’uomo o della donna in ugual misura nel 15% dei casi, in 20 casi su 100 le difficoltà di concepimento possono essere collegate a una combinazione dei due; in un restante 20% si stima che non vi siano cause attribuibili a problematiche di ordine medico.
Affrontate quindi le definizioni cliniche – doverose-, è bene occuparsi delle storie che si celano dietro a queste difficoltà. Approfitto del testo di una canzone di J-Ax per avvicinarmi a un tema che sento di voler trattare ma che, al contempo, penso possa essere affrontato solo con grande serietà e delicatezza.
“Avevo perduto fiducia nel mondo
Senza nemmeno rendermene conto
Il lavoro andava a gonfie vele
La casa una barca che andava giù a fondo”
Gli effetti di una difficoltà ad avere figli è evidente che incida in modo significativo sugli equilibri personali e in particolare sulle dinamiche di coppia. Due persone che si amano e che desiderano avvicinarsi alla genitorialità sognano infatti che questo processo sia il più possibile lineare e felice: la decisione di diventare genitori è necessariamente legata a delle aspettative e anche a una visione magica, sognante, di ciò che la nuova vita porterà. Scontrarsi con un problema che impedisce la realizzazione di questo desiderio invece, intacca necessariamente la sua idea romantica, generando frustrazioni e scenari che sono fuori dal proprio controllo e che, proprio per questo, fanno molta paura: “e adesso cosa possiamo fare? Cosa succederà? Riusciremo mai ad avere un figlio?”. È naturale poi che nascano nei pensieri intimi di ciascun partner degli interrogativi riguardanti i motivi che stanno provocando questa così dolorosa situazione: “sarà colpa mia?”.
“Quand’è che ci fate un figlio?
Tutti la stessa domanda
Io trattenevo la rabbia
Perché avrei voluto spaccargli la faccia”
Una coppia quando si affaccia alla genitorialità non è da sola; il mondo -la rete degli affetti- che la circonda è altrettanto portatore di aspettative su ciò che avverrà: i parenti più stretti possono per proprio desiderio esercitare pressioni o essere indelicati. Al contempo, per pudore e per propria difficoltà spesso i due futuri genitori scelgono di non parlare con nessuno della situazione che stanno vivendo. È quindi evidente quanto l’incontro tra queste dinamiche generi forti sensazioni di solitudine e rabbia; il mondo esterno in questo caso non è elemento di sostegno bensì sembra fungere da rinforzo rispetto all’idea su “cosa dovremmo essere ma non riusciamo a diventare” già molto presente in chi sta affrontando con fatica una sfida così complessa.
“Avevo perso da mò la speranza
Non sopportavo più tutto quel dramma
Ad avere coraggio ci pensava mamma
Tra medicine e le punture in pancia”
Ed è così, che la coppia, che da tempo all’interno delle proprie mura di casa si trova a combattere con l’infertilità, si rivolge a degli specialisti per dare avvio alla fecondazione assistita che in molti casi sembra rappresentare l’unica soluzione possibile. Non è un passaggio semplice, né tantomeno garanzia di un procedere lineare: i due genitori si affacciano a questa possibilità già molto affaticati dai fatti pregressi, accompagnati da un forte senso di fallimento e dalla paura di andare incontro a un’ulteriore delusione; al contempo i due partner sono densi di aspettative verso quella che sembra essere l’ultima soluzione a disposizione prima di prendere in considerazione una possibile adozione. È evidente come tutti questi stati d’animo possano influire sensibilmente anche sulle dinamiche di coppia e sulla serenità della relazione, oltre che incidere sul benessere di ciascuno dei due futuri genitori.
I due partner hanno davanti a sé una grande sfida: trovare uno spazio di espressione della sofferenza che permetta di dare un significato “di coppia” a ciò che sta accadendo, in modo da ridurre la sensazione di solitudine e il sentimento di incomprensione che li accompagna.
Come farlo? È bene evitare di chiudersi in sé stessi, è necessario provare a condividere pensieri e paure, accettando che le modalità con cui ciascuno dei due partner vive l’accadimento sono –di diritto- differenti. Il confronto alla presenza di un terzo, esterno e per tale caratteristica maggiormente obiettivo, rappresenta una risorsa fondamentale per la coppia: è essenziale che vi sia una rete di supporto, sia essa costituita da affetti, da professionisti o da entrambi. Condividere il senso di fallimento aiuta anche a osservare con sguardo differente il problema o perlomeno di uscire dallo stato di vergogna che, in modo del tutto ingiustificato ma comprensibile, accompagna i due partner; parlando del problema è possibile poi limitare le pressioni e regolare le esternazioni poco gradevoli da parte del mondo esterno; migliorare la comunicazione con il partner determina un aumento la fiducia reciproca e rafforza la relazione della coppia.
Poichè lo stress sembra essere strettamente legato a stati di infertilità, limitare le occasioni in cui questo stato si presenta può giocare un ruolo cruciale, in alcuni casi anche nella sua stessa risoluzione.
Sitografia Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita – http://old.iss.it/rpma/
Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi della Lombardia e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico relazionale specializzata presso la Scuola di Specializzazione “Il Ruolo Terapeutico” di Milano. Specialista in disturbi d’ansia, depressione, lutto, separazione e divorzi.